domenica 10 giugno 2018

Blog tour: The slayer di Daniela Bellisano [Uscita e 1°capitolo]


Buongiorno lettori, eccoci giunti alla tappa finale di questo blog tour.
Nel giorno della sua uscita avrete modo di leggere il primo capitolo di questo libro... mentre, sotto quest'ultimo troverete l'intero calendario delle tappe, nel caso volesse rivederne qualcuna.
1.
Voglia di libertà





Tenue era il raggio di sole che si insinuò tra le sottili tende di stoffa bianca nella stanza da letto di Dana Barrons, risvegliandola. Erano le sette del mattino e Dana aveva la testa sprofondata nel morbido cuscino in lattice, mentre il suo corpo era avvolto da una moltitudine di coperte – tre per la precisione – senza ovviamente contare le lenzuola rigorosamente di pura flanella.
Era inizio febbraio, pieno inverno per i gusti della giovane Barrons.
Dana era sempre stata una gran freddolosa, neanche in piena estate sentiva la grande urgenza di liberarsi del suo amato piumino, in perfetto stile Linus. I suoi genitori e la sua migliore amica la prendevano in giro costantemente per questo suo piccolo capriccio, ma per Dana non era affatto un capriccio, lei sentiva veramente freddo, forse la sua cittadina era la più fredda di tutto il Minnesota, o forse addirittura di tutto il mondo, visto le poche volte che si era spostata per qualche piccola gita fuori città e aveva riscontrato, anche solo a distanza di pochi chilometri, un clima diverso, più mite, ̶ sempre che si possa definire mite il clima del Minnesota.
Mugugnando ancora mezza addormentata, Dana allungò un braccio verso il comodino alla sua destra per afferrare il cellulare dove era impostata la sua sveglia mattutina al solito orario delle 7:15. Mancava un minuto, erano le 7:14, come sempre, per non iniziare la giornata con quel rumore assordante. A quell’orario per lei anche la dolce melodia dei Nightwish con la canzone Turn Loose the Mermaids le risultava assordante. Sicuramente il marciare di un intero plotone di soldati sarebbe stato meno rumoroso dell’effetto amplificato della suoneria della sveglia sul comodino in legno; così come sempre si svegliava automaticamente un minuto prima che la sveglia squillasse. Repentina la staccò mollando il cellulare sul comodino e girandosi dall’altro lato, chiudendo gli occhi.
Il raggio di sole, malandrino, però non era affatto d’accordo con la voglia di dormire, anche solo altri cinque minuti – che poi si trasformavano in quindici, venti, e infine passava mezz’ora – che Dana si concedeva ogni mattina, infatti sembrava che il piccolo soffio di sole avesse studiato appositamente quell’angolazione precisa – tra l’unico spiraglio che lasciava libero la tenda e il battente della finestra – per puntare precisamente sul viso della ragazza, esattamente negli occhi, giusto per svegliarla per bene.
Dana cercò di sprofondare con la testa un po’ più sotto, ma una scarica di dolore al collo l’avvertì che non era propriamente una buona idea.
«Maledetto raggio di sole e maledetta cervicale infiammata! Questa è una congiura!» disse scostando di botto le varie coperte, mettendosi seduta sul letto con fare arrabbiato e insonnolito. Sbuffando si alzò mettendosi le mani nei capelli, ritrovandoli subito pieni di nodi e cotonati in uno strano aggruppamento ai due lati della testa.
Passando davanti lo specchio del grande armadio bianco di fronte al letto, Dana scoppiò a ridere guardando lo stato post-notte di quella mattina.
«Wow! Potrei partecipare al provino di un film tipo “Il risveglio dei morti viventi” sarei perfetta» sorrise, beffeggiandosi di se stessa come tutte le mattine. 
Come tutte le ragazze, anche Dana non amava alcune parti del suo corpo, ma a differenza di molte aveva sempre saputo accettare e amare i suoi “difetti estetici”. Guardandosi allo specchio si schiacciò con l’indice il naso a patata con la punta all’insù, stile francesina, che lei non amava particolarmente visto i punti neri che lo opprimevano e la malformazione interna che le aveva deviato il setto nasale impedendole di sentire qualsiasi odore; una vera scocciatura per chi come lei amava la natura e desiderava poterne assaporare i profumi. Il suo viso era ovale con zigomi pieni, anche troppo per i suoi gusti e i fianchi, be’ i suoi fianchi da che ricordasse erano sempre stati ben arrotondati, ma non si considerava grassa, affatto, aveva la carne al posto giusto, così diceva sempre, e questo molti ragazzi lo avevano sempre apprezzato.
Se qualcuno, per un quiz o altro, avrebbe chiesto agli abitanti di Stone Town una sola parola per descrivere Dana Barrons, tutti avrebbero sicuramente risposto: solare. Dana era sempre e costantemente solare, niente e nessuno riusciva mai a metterla di cattivo umore, anche quando qualcosa andava storto, o i suoi le vietavano di fare una gita fuori porta con Sarah, lei non si arrabbiava, questa era la sua più grande qualità.
«Bene, è ora che dia una sistemata a questi capelli» disse parlando con la sua immagine riflessa allo specchio.
Come da abitudine, si avvicinò prima di ogni altra cosa allo stereo e pescò la sua canzone preferita tra le migliaia tracce nell’Ipod, che poi collegò alle casse, da dove iniziò a fluire, a un volume quasi assordante, She Wolf (Falling to pieces) nel perfetto duo David Guetta e Sia.
Ondeggiando con la testa, seguendo il ritmo della musica, si incamminò verso il bagno che comunicava con la sua stanza e ne recuperò una spazzola con cui iniziò a districare i nodi davanti lo specchio. I suoi capelli erano lunghi fino a metà schiena – quando non erano in stile cotonamento notturno – di un castano dorato molto chiaro che contrastava perfettamente con i suoi occhi cerulei. Molte volte le avevano chiesto cosa significasse cerulei e lei, con orgoglio, spiegava che era un misto di verde, grigio e azzurro. Gli occhi di Dana erano molto particolari perché cambiavano a seconda del tempo atmosferico: d’estate erano più tendenti all’azzurro-grigio, mentre d’inverno il verde dominava su gli altri colori. Dana aveva sempre pensato che il suo punto forte fossero gli occhi, e se era vero il detto che “gli occhi sono lo specchio dell’anima” allora la sua anima non doveva poi essere così male, almeno sperava!
«What do you see in those yellow eyes? ‘Cause I’m falling to pieces…’» cantò una delle sue strofe preferite… non aveva mai visto un lupo da vicino, ma le sarebbe piaciuto incontrarlo per osservare i suoi occhi, erano veramente ambrati come l’oro appena fuso? O il grano appena raccolto? Sarah, la sua migliore amica, le aveva chiesto più di una volta perché continuasse a cantare quella strofa, era l’unico passaggio della canzone che cantava con tutta se stessa. Per Sarah era strano che Dana, solare com’era, cantasse di qualcosa che cadeva a pezzi, proprio lei che era sempre salda nelle sue idee e nei momenti difficili. Dana, a quella domanda, non sapeva proprio come rispondere, così ogni volta alzava le spalle in un gesto da “non so perché lo faccio, ma lo faccio lo stesso”.
Districati finalmente i nodi, Dana si vestì con un lupetto blu elettrico e un paio di jeans skinny e le fidate snakers. Uscì dalla sua stanza spegnendo l’impianto stereo appena finì la canzone e attraversò il lungo corridoio che la portava in cucina seguendo, come un cane segugio, il profumo di brioches appena sfornate.
«Ciao nonnina!» esclamò salutando sua nonna Margareth intenta a infornare una nuova teglia di brioches al cioccolato e crema.
«Buongiorno Dana! Credo di aver perso un nuovo grado di udito grazie al tuo stereo» disse sorridendo fra sé. 
Margareth era la fotocopia invecchiata di sua nipote, soprattutto per quanto riguardava il sorriso infatti, come Dana, Margareth, nonostante fosse diventata vedova molto presto, dovendo crescere due figli da sola, aveva affrontato tutto con il sorriso e tanta, tantissima determinazione. Margareth era un vero mito per sua nipote, che l’adorava.
«Su nonna, so che anche a te piacciono David e Sia» la punzecchiò Dana.
«Ai miei tempi Elvis non urlava come un ossesso e non c’era quel sottofondo spacca timpani! Quelle di Elvis sì che erano canzoni…» sospirò ricordando i bei vecchi tempi.
Dana, approfittando del tuffo nei ricordi di sua nonna, si avvicinò di soppiatto al vassoio pieno di brioches appena sfornate e ne arraffò una sorridendo soddisfatta e allontanandosi con il suo bottino.
«Dana Barrons, dove scappi? Ho visto che hai rubato una brioches! Sono per la festa a scuola di tuo fratello, ragazzina!» le urlò dietro sua nonna, mentre Dana correva intorno al tavolo e poi, con un veloce scatto, raggiunse sua nonna e la baciò velocemente sulla guancia, per poi eclissarsi.
«Ti voglio bene nonna!» urlò uscendo di casa, una villetta su un solo piano, nel bel mezzo dei terreni Barrons, a qualche chilometro appena da Stone Town.
Margareth sorrise verso la porta per poi voltarsi e continuare nel suo lavoro.
Dana uscì di casa, rabbrividendo all’istante.
«Uffa, ma quando arriva l’estate?» si domandò osservando il cielo costantemente grigio.
La famiglia di Dana era proprietaria di molti terreni che circondavano la casa e dove vi era fondata la fattoria gestita da suo padre.
«Ciao papà!» urlò lei verso il recinto dei cavalli, dove suo padre stava strigliando il giovane Cayman, un puledro un po’ eccentrico visto che gli piaceva leccare i suoi zoccoli, ma comunque era il preferito del padre perché nessuno poteva battere Cayman in una gara, lui era una vera e propria freccia nera.
Mike, il padre di Dana, sollevò una mano per salutare la figlia, sorridendole amorevolmente per poi ritornare al suo lavoro, mentre Dana si avviava verso la sua meta preferita.
Un turbine dai capelli dorati le arrivò da dietro facendole quasi perdere l’equilibrio. Axel, il fratellino di cinque anni, era un vero tornado, dove passava lui lasciava il segno, ovvero una scia di giocattoli, o qualsiasi cosa trovasse utile per giocare in quel momento. Dana si voltò e abbracciò il suo adorato fratellino sollevandolo da terra e facendolo girare veloce come tanto gli piaceva. Nonostante i quindici anni di differenza, i due andavano molto d’accordo e si adoravano a vicenda.
«Stai andando a scuola, piccolo moccioso?» gli chiese mettendolo finalmente a terra, mentre Speedy, il loro piccolo cane grande come un gatto adulto, anche se aveva ormai tre anni, saltellava allegro intorno ai due fratelli.
«Sì. La mamma mi accompagna a scuola insieme alla nonna. Lo sai che nonna ha fatto delle brioches per la festa a scuola?»
«Sì, ne ho anche rubata una» disse Dana mostrando al fratello il suo bottino e strizzandogli l’occhio in segno di complicità. «Ma non dirlo a nessuno, ok?»
«Certo! Sarà il nostro segreto!» rispose felice lui.
«Axel, su dobbiamo andare!» lo chiamò Daphne, loro madre. «Dana, tu non fare troppo tardi, ci sono i panni da stendere e devi aiutare tuo padre con la recinzione per le mucche» le urlò dalla macchina.
«Certo mamma!» la salutò Dana, dopo aver dato un bacio ad Axel che partì di corsa in una gara improvvisata con Speedy in direzione della macchina.
Dana continuò la sua camminata mattutina, lasciando la fattoria per inoltrarsi nel boschetto subito dopo casa sua. Immersa nel bosco si sentiva libera e felice. Le piaceva accarezzare i tronchi robusti degli alberi e osservare il timido sole filtrare dalle chiome degli alberi. Dopo qualche minuto, il bosco si aprì su una piccola collinetta che Dana raggiungeva ogni mattina per osservare la sua terra.
Si sedette come sempre sull’erba verde in cima alla collina che mostrava da quell’altezza la fattoria e tutta Stone Town. I tetti delle case erano verdi, costruiti con la tipica pietra verde che veniva estratta dalle cave appena fuori città. La pietra verde era il pezzo più importante dell’economia della cittadina, una pietra forte, resistente alle temperature più fredde e che con le sue venature dal verde scuro a quello più chiaro dava un senso estetico di eleganza anche alle case meno sfarzose.
Con la brioches alla bocca e il cioccolato ancora caldo a mandare in estasi le sue pupille gustative, Dana osservava quel paesaggio con affetto e un pizzico di angoscia. Sarebbe stata quella la sua vita da qui alla sua morte? Era destinata a passare la sua vita in quella città, amava la sua città e anche i suoi abitanti impiccioni, ma ogni giorno che passava si sentiva opprimere come se le mancasse l’aria. Dana era uno spirito libero, voleva vivere, viaggiare, esplorare nuovi luoghi, culture e conoscere tanta gente nuova, ma niente di tutto ciò poteva farlo a Stone Town. I suoi genitori erano sempre stati molto protettivi nei suoi confronti, rare volte le avevano permesso gite fuori porta e quando succedeva Dana doveva essere sempre in compagnia di Sarah, che aveva la sua stessa età, ma i Barrons sembravano fidarsi solo se Dana uscisse in sua compagnia e lei non si era mai lamentata per questo. Sarah, d’altronde, era la sua migliore amica. Aveva finito gli studi, il college non faceva per lei, almeno non ora, quindi ora si ritrovava a un punto della sua vita in cui doveva decidere come vivere e ogni giorno, sul picco di quella collina, si poneva sempre la stessa domanda: Voglio vivere così?
Fino a quel giorno non aveva mai trovato una risposta, ma ora era diverso… si era svegliata di nuovo con l’opprimente sensazione che si trovasse nel posto sbagliato e quel giorno quella sensazione era più forte che mai.
Dana aveva molti sogni, ma non sapeva cosa volesse diventare veramente. Quando era piccola desiderava diventare direttrice d’orchestra, le era sempre piaciuta quella figura che con determinazione muoveva mani e braccia in gesti precisi, governando un’orchestra più o meno grande. Crescendo aveva pensato di diventare un’astronauta, magari un bel viaggetto per lo spazio le avrebbe permesso di capire chi fosse veramente, ma aveva ben presto abbandonato questa aspirazione quando all’età di dieci anni aveva iniziato a leggere i suoi primi libri, decidendo infine di provarne a scrivere uno anche lei. La fantasia di certo non le mancava e da una storia ne era nata una seconda e poi una terza, un susseguirsi di avventure per personaggi sempre diversi, ma con sempre un fattore dominante in comune: la libertà.
Dana voleva essere libera come i suoi personaggi, magari non poteva diventare una strega o una regina, la prima non esisteva e la seconda non era nel suo albero genealogico, ma comunque poteva cercare di crearsi il futuro secondo le proprie volontà.
Un soffio di vento gelido la fece tremare, inducendola a sprofondare nel collo alto del lupetto fin sopra al naso. Doveva tornare a casa, c’erano così tante cose da fare, ma non ne aveva voglia, le sarebbe tanto piaciuto poter mollare tutto è partire, proprio come aveva fatto Camryn nel libro Il confine di un attimo, il suo romanzo rosa preferito. Camryn non solo aveva trovato l’amore fuggendo dalla sua vecchia vita, ma aveva capito cosa volesse veramente dire il verbo vivere.
Con uno scatto si alzò in piedi, determinata. 
«Perché non posso farlo pure io?» si chiese ad alta voce, continuando a osservare la sua città. «Qui mi trattengono molte cose, prima fra tutte la mia famiglia. Ma non posso continuare così, ho bisogno di evadere, di assaporare anche solo per un po’ la libertà, la vita. D’altronde tutto questo, la mia famiglia, ci saranno anche quando tornerò, dove vuoi che vadano?» disse auto-convincendosi. 
Con un moto di determinazione si lanciò di corsa verso il bosco da cui era arrivata, dirigendosi verso casa. Il cuore le batteva forte all’idea che potesse veramente commettere quella pazzia che agognava da molto. Per una volta non si sarebbe guardata indietro, ma solo avanti.
Arrivò a casa con il fiatone e per sua fortuna non c’era nessuno in giro. Volò in camera sua e afferrò la sua borsa più grande buttandoci dentro un cambio di vestiti, Ipod, il kindle – perché senza libri e musica non si poteva di certo viaggiare – e uscì di casa al volo, afferrando qualche banconota che le sarebbe servita per sopravvivere. Si continuava a ripetere che era una follia, che non poteva realmente lasciare tutto e tutti, così prima di uscire dalla sua camera aveva lasciato un veloce e sbrigativo biglietto ai suoi familiari: 

Ho bisogno di libertà. Ho deciso che andrò via per qualche giorno, ma tornerò presto. Non preoccupatevi per me. Vi voglio bene, Dana.

Scritto questo, uscì di casa prima che arrivasse qualcuno a fermarla e si incamminò verso la fermata del pullman, non molto distante da casa sua.
Si sentiva euforica come non mai e quel senso di oppressione, appena uscita di casa, si stava pian piano dissolvendo. Il pullman arrivò nel preciso istante in cui un suo concittadino, il signor Brike, si accostava a Dana con la sua bicicletta blu. Da quel che ricordava lei, il signor Brike aveva sempre avuto quella bici e non lo aveva mai visto camminare a piedi, la bici era quasi una parte del corpo di quel bizzarro uomo sempre imbronciato.
«Buongiorno, Signor Brike» lo salutò Dana aspettando che le porte dell’autobus si aprissero.
«Dana, dove stai andando?» chiese lui, brusco e sospettoso.
Cavolo! Di certo non poteva dire che stava scappando di casa, doveva inventarsi qualcosa anche se a lei non piaceva per niente mentire. 
«Vado a Salidas a comprare qualche nuovo libro» disse sfoggiando il suo sorriso più convincente. Di certo non era un segreto che a Dana piacesse leggere visto tutte le volte che era rimasta fino all’orario di chiusura della biblioteca per leggersi un libro, in pieno stile Matilde sei mitica, peccato che lei non avesse i poteri magici di Matilde. Non era neanche strano che lei prendesse l’autobus per la vicina città di Salidas, famosa per i suoi numerosi centri commerciali.
Brike piegò la testa di lato osservando Dana con attenzione, sembrava quasi che le volesse leggere nella mente, ma poi improvvisamente disse: «Sarah viene con te?»
Ecco, di nuovo sempre la solita storia! Possibile che anche gli abitanti di Stone Town, non solo la sua famiglia, preferissero che lei non viaggiasse senza Sarah come scorta? Era inaudito!
«Sì. Salirà alla prossima fermata» mentì Dana.
«Ok» disse Brike, rimettendosi diritto sulla sua bici. 
Dana lo salutò e finalmente poté salire sull’autobus. Per sua fortuna era praticamente vuoto, così poté fare il biglietto fino al Kentucky senza che nessuno dei suoi concittadini ficcanaso facessero la spia.
Il Kentucky era stato il primo stato a venirle in mente lì per lì, magari poi sarebbe scesa prima, o magari avrebbe continuato finché il suo didietro non avrebbe chiesto pietà per i giorni interi in pullman che l’attendevano.
Nessuno salì all’unica fermata nel centro di Stone Town, così quando il pullman varcò la fine della città, Dana si sentì veramente libera e pronta a vivere quell’avventura che l’avrebbe portata molto più lontana di quanto si aspettasse.


A presto e buona domenica a tutti!


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